Vento di Trapani: la città dei due mari

Nitto Mineo, subacqueo delle tonnare

Alcuni anni fa avevo un amico che mi parlava sempre di un amico di suo nonno, un certo Nitto Mineo. Un pescatore,  che era molto famoso a Levanzo e che aveva visto uno squalo faccia a faccia. Non so perché, forse perché non mi piace pescare, non  gli davo molta importanza.

Il mio amico poi si è trasferito al nord. Ma un bel giorno su internet mi trovo a leggere un articolo su un certo Nitto Mineo, un nome leggendario per gli amanti del mare e delle Egadi. Subito ho pensato al mio amico.

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Nitto Mineo era nato a Marettimo ma aveva vissuto gran parte della sua vita a Levanzo prima di trasferirsi a Trapani per le sue precarie condizioni di salute. Lì era morto all’età di 84 anni nel 2018.

A Levanzo aveva aperto una pensione dal nome “I Fenici”, in un posto molto panoramico, e ovviamente non mancava pesce fresco e abbondante. Negli ultimi anni di attività Nitto era diventato anche pescatore di corallo.

Nitto Mineo subacqueo delle tonnare

Nitto Mineo era un subacqueo delle tonnare. Non sapevo neanche esistessero queste persone che si immergono nelle tonnare durante la mattanza. Fu lui il primo a farlo, nel 1963. E’ un lavoro pericolosissimo. Il sommozzatore entra dentro le reti per ripararne gli squarci e tira fuori i pesci morti rimasti impigliati. In più cerca le ancore perdute, conta i tonni e li spinge nella camera della morte.

Non è certo facile. Già i tonni non sono facili da gestire. Ma di sicuro era molto più pericoloso imbattersi nei pescispada e anche negli squali bianchi.

Faccia a faccia con lo squalo

Accadde a Nitto, nel 1980, che nella tonnara di Favignana due squali bianchi, un maschio e una femmina, erano entrati di notte nella tonnara ed erano rimasti imbrigliati nella rete.

Uno dei due si era dibattuto tantissimo per liberarsi al punto che la sua coda si era imbrigliata moltissimo tra le reti, formando una specie di palla. Pensando che lo squalo fosse morto come l’altro, Nitto cominciò a liberare la sua coda tagliando la rete col coltello. Ad un tratto uno strattone della rete gli fa capire che lo squalo era ancora vivo e fece un balzo per allontanarsi. Lo squalo però si raddrizzò parandoglisi davanti, con la bocca aperta.

Nitto se lo ricorderà per sempre quel momento, quando gli vede i denti vicini che cercano di afferrarlo. Con prontezza di riflessi, Nitto gli mette una mano sul muso e si spinge indietro. Fortunatamente la rete trattiene ancora lo squalo per quei pochi secondi che bastano al sommozzatore per allontanarsi di un paio di metri. Vedendo che gli stava venendo ancora incontro, Nitto fuggì in superficie e con la forza che solo la paura può dare risalì 30 metri in un batter d’occhio e saltò in barca da solo, senza neanche togliersi bombole e zavorra.

Nitto Mineo e lo squalo

La lama tagliente dei pescispada

Altre volte si era imbattuto nei pescispada che lo puntavano con la loro lunga spada. Il pesce spada attacca l’uomo con il suo rostro a forma di lama tagliente e acuminata. Quasi sempre però accade quando nelle vicinanze c’è anche la femmina imbrigliata. Il maschio attacca per difendere la femmina. Nitto però aveva capito che il pescespada attacca sempre dal basso in alto, allora quando se lo trovava davanti gli scivolava in basso e gli passava di sotto e il pesce spada lo lasciava andare.

Lo spirito tra le reti

Una volta invece i pescatori sulle barche erano terrorizzati da qualcosa che sembrava uno spirito, che andava avanti e indietro velocemente tra le reti. Forse lo spirito di qualche uomo che era morto in quel punto e ora girava? Sembrava di scorgerne chiaramente il cappello, il cappotto svolazzante e anche le mani. Nitto aveva davvero paura però decise ugualmente di scendere a vedere.

Era un’enorme Manta di 400 chili, con le corna che sembravano un cappellaccio, che andava e veniva sotto le barche perché rimasta imprigionata nelle reti. Le punte delle ali sembravano mani e la testa biforcuta un cappello di cerata.

Un uomo in più

Pippo Cappellano, documentarista subacqueo, fece di Nitto il protagonista del cortometraggio “Un uomo in più” dedicato al lavoro dei sub in tonnara.

Nitto ha comunque un altro merito, forse meno conosciuto.

Nitto Mineo e i ritrovamenti dei relitti di navi romane

Aveva scoperto diversi relitti e fu grazie a sue segnalazioni che nel 1961 fu scoperto il carico di anfore al largo di cala Minnola a Levanzo. Questo si rivelò, dopo i primi studi, appartenere a un relitto romano del I sec. a. C..

Successivamente Nitto rivelò un ritrovamento di ceppi d’ancora in piombo su un fondale di 25 metri a est dell’isola nella zona di Capo Grosso. Sulla base di quelle informazioni, amici archeologi estesero le ricerche sui fondali circostanti al luogo del primo rinvenimento. Si scoprirono numerosi ceppi, disposti secondo uno schema regolare, e che verosimilmente potevano essere correlati all’ormeggio di una ingente flotta di navi. Fu l’inizio di quella che diventò in breve tempo la scoperta del luogo dove si combatté la Battaglia delle Egadi nel 241 a. C.

fonti:

 “Il sale e il sangue. Storie di uomini e tonni” (Magenes, Milano, 2007); intervista a Nitto nel giugno 2001.

cose di mare

foto da libreria internazionale il mare