Vento di Trapani: la città dei due mari

Mondo soprano e mondo sottano

Ho tratto questo racconto “Mondo soprano e mondo sottano” dal un libro sul monte Erice scritto nel 1893 dal trapanese Domenico Giannitrapani. Era questi un ingegnere, nato nel 1836, che si era unito ai garibaldini sbarcati a Marsala combattendo come ufficiale a Milazzo (in questa occasione meritando la medaglia al valore). Successivamente prestò la sua opera di ingegnere nella battaglia del Volturno.

Entrato a far parte dell’Esercito italiano come ufficiale del genio, Giannitrapani cominciò a scrivere di cose militari. Il lavoro di rilevazione sul campo per la progettazione di sistemi difensivi e l’osservazione del territorio, necessari a svolgere le attività connesse alla sua funzione di ufficiale del genio, gli fornirono l’occasione per la stesura di alcuni pregevoli lavori descrittivi. Andando avanti nella sua carriera divenne colonnello dell’Esercito e cominciò a interessarsi di didattica della geografia, scrivendo libri di geografia per le scuole, e infine di antropogeografia. Nel 1893 scrisse tra l’altro “Il Monte Erice, oggi San Giuliano”.

Il racconto si chiama “Mondo soprano e mondo sottano” ed è stato raccontato allo scrittore da un montanaro del villaggio di Paparella (attuale Valderice). Per questo motivo lo scrittore lo definisce “U cuntu di Paparella “.

Mondo soprano e mondo sottano

Al tempo delle Fate c’era un re che aveva un bellissimo giardino. Tra tutti gli alberi magnifici e rari che l’adornavano andava fiero specialmente di un pero che produceva frutti meravigliosi. Ma un giorno il re scese in giardino e trovò l’albero in parte spogliato dalle bellissime pere.

Allora ritornò furioso al palazzo e chiamò i suoi tre figli, Giuliano, Luigi e Alberto promettendo la corona al figlio che gli avesse portato la testa del ladro di pere.

Per primo si offerse Giuliano, il maggiore dei figli e il più spavaldo. Una notte si appostò ma appena vide un Drago spiccare le pere fu preso da spavento e scappò dal re a raccontare ogni cosa.

Allora il re chiese al figlio Luigi di portargli il drago, vivo o morto. Luigi , la notte seguente, si appostò in mezzo al fogliame pronto a scagliarsi sul Drago, ma non appena lo vide fu colto da paura e corse a rifugiarsi a palazzo. Il re era furioso e fece chiamare il figlio minore Alberto.

Quest’ultimo attese la notte. Il drago comparve e già aveva preso una pera quando l’ardimentoso Alberto gli tronca un braccio con la spada. Lo porta al re, ma questi gli dice che non basta, dovrà uccidere il drago se vuole la corona.

I tre fratelli si uniscono per uccidere il Drago, armati di tutto punto. Seguono le stille di sangue lasciate dal drago e arrivano alla bocca di un antro molto profondo.

Qui si legano a delle corde per scendere. Giuliano si lega per primo attaccando alla fune una campanella, per avvisare i compagni di tirarlo su in caso di pericolo. Giunto a una certa profondità Giuliano si impaurisce, suona la campanella e viene tirato sopra. Lo stesso accadde a Luigi. Ci prova Alberto.

Lui scende tra rumori strani che si ripercuotono nel baratro ma non suona mai la campanella fino a toccare il suolo.

Si ritrova in una valle nuda e deserta, cinta da montagne tra cui rumoreggiano torrenti impetuosi.

Camminando camminando, dopo alcuni giorni incontra un vecchietto a cui chiede aiuto.

Questi gli chiede il motivo per cui un re del mondo soprano ha violato il regno del terribile Drago. Lo incita a camminare ancora fino al punto in cui avrebbe trovato tre torri. Là avrebbe potuto trovare ristoro.

La via è ancora più aspra e disagevole ma varcata una stretta gola gli si apre davanti agli occhi uno spettacolo magnifico.. La vegetazione è rigogliosa e in mezzo si elevano tre torri, rispettivamente di bronzo, d’argento e d’oro.

Alberto ode una voce che lo invita: “O re del mondo soprano, vieni, qui troverai asilo e ristoro.”

Una bellissima fanciulla era affacciata a ciascuna delle tre torri. Tra canti e danze Alberto passò tre giorni deliziosi. Il quarto giorno decise di partire alla ricerca del Drago ferito.

Una delle fanciulle gli fece dono di un cavallo per superare i disagi della via, l’altra di una verga magica, perché il drago era custodito da 24 leoni che sarebbero diventati pecorelle se toccati con quella verga.

La terza fanciulla gli donò una palla d’oro. La Mammadraga infatti custodisce la bocca della sua caverna mentre va gridando: “Che buon odore di carne umana, se la trovo me la mangio sana”. Ma alla vista di quella palla sarebbe caduta fulminata.

E così Alberto si lancia col suo cavallo fatato e arriva prestissimo. Gli si lanciano contro i 24 leoni che diventano pecorelle quando li tocca con la sua bacchetta magica.

Davanti la bocca di una caverna vede la Mammadraga. Alberto le lancia la palla e lei rimane fulminata.

Si slancia dentro la caverna e in fondo vi trova il drago ferito accanto alle pere d’oro rubate.

“Sciagurato! Se ti vedesse la mamma draga di te farebbe un sol boccone.” gli grida il drago.

Ma Alberto gli recide la testa con un colpo di spada e vittorioso riparte alla volta delle tre torri.

Sulla porta della torre d’oro lo attende una delle fanciulle. Questa lo chiama eroe dei suoi sogni e gli chiede di portarla via da quel luogo e di prenderla in sposa.

Alberto la prende con sé, per la via raccoglie anche le altre sorelle e insieme si avviano verso la caverna.

Qui la corda penzolava ancora.

Alberto legò prima la sorella maggiore e poi suonò la campana. Giuliano e Luigi erano sorpresi di trovarsi una bella fanciulla al posto del fratello. Salì poi la seconda fanciulla. Nella mente dei fratelli si fece intanto strada una orribile idea. Loro sarebbero stati derisi mentre il fratello vittorioso avrebbe avuto la corona. Sarebbero diventati sudditi del fratello minore. E così, salita la terza fanciulla, avrebbero lasciato cadere la fune in fondo alla caverna. Nello stesso istante un sospetto attraversava la mente di Alberto.

“Sposa mia, forse i miei fratelli invidiosi mi abbandoneranno quaggiù. Se ciò avvenisse giura di vendicarmi.”

“Lo giuro!”

La ragazza si tolse un anello e lo passò ad Alberto in segno di fede e di amore. Salì e, come sospettato, alla fine la corda cadde ai piedi di Alberto.

Giuliano e Luigi insieme alle tre fanciulle si avviarono alla reggia, col proposito di far credere al re che tutti e tre i fratelli avevano assalito il drago ma che il povero Alberto era rimasto vittima. La fanciulla sposa di Alberto provò a rifiutarsi di dire questa menzogna ma fu subito minacciata di morte se avesse detto solo una parola. Allora rimase zitta giurando in cuor suo di vendicarsi.

Giunti al palazzo reale, in mezzo alla folla acclamante, i due figli si presentarono al re.

-Maestà a chi di noi darete la corona?

-Aspetterò 12 anni il ritorno di Alberto e poi darò la corona- fu la risposta del re.

Nella reggia si fecero grandi feste, i fratelli sposarono le due sorelle maggiori e tutti cominciavano a dimenticarsi di Alberto. Ma la sua sposa, trattata come una schiava, si ricordava ancora bene di lui.

Intanto Alberto, rimasto solo nel mondo sottano, si disperava. Rifece il cammino verso le tre torri ma l’incantesimo era scomparso e non vide altro che rocce e lande brulle dove prima appariva un paradiso. Per fortuna incontrò ancora il vecchio mendicante che aveva incontrato prima.

– Pietà di me, buon romito! Toglimi da questo mondo sottano.

Passava un aquila. Il vecchio l’attirò al suolo e la tenne ferma.

Alberto si mise a cavallo dell’aquila che, come assicurò il vecchio, l’avrebbe portato via dal mondo sottano, fin nel mondo soprano.

E così fu. Arrivato nel mondo soprano, si mise in cammino per la città dove regnava suo padre. Qui vede la sua sposa sulla terrazza del palazzo reale. Umilmente gli si presenta a chiedere ospitalità. La sposa non lo riconosce e va dal re a chiedergli il permesso di portare al suo cospetto un pellegrino in cerca di asilo.

Poi accade che la fanciulla vede al dito del mendicante l’anello che lei aveva donato al suo promesso sposo e così lo riconosce. Lo conduce dal re e gli dice che quel pellegrino è  capace di creare una torre d’oro. Il re è incredulo. Ma comunque promette la sua corona al pellegrino se riuscirà a costruire una torre d’oro.  Intanto gli altri figli e la corte intera si radunano per assistere alla creazione della torre.

Alberto lancia in aria la palla d’oro che ancora aveva con sé e all’istante sorge una massiccia torre d’oro. Il re si toglie la corona e la depone sul capo del pellegrino. Giuliano e Luigi si fanno avanti e gliela tolgono con arroganza.

A quel punto la fanciulla rivela l’identità del pellegrino e il tradimento dei fratelli. Il re allora li fa ardere sulla pubblica piazza insieme alle mogli.

Così il delitto fu punito e la virtù fu premiata.

Dopo nel palazzo reale vi furono grandi feste, Alberto e la sua sposa vissero felici e contenti!

Tratto da: Il Monte Erice oggi San Giulino. Paesaggio storia e costumi di Domenico Giannitrapani

Foto: Maria Virzì