Vento di Trapani: la città dei due mari

I Misteri politici di Trapani

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Parliamo di misteri politici. A Trapani si può sempre parlare di Misteri, anche quando non si tratta della processione religiosa. Tra logge massoniche e gruppi eversivi, delitti e connivenze, è una vera fonte di misteri politici.

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Questo mio articolo è un accenno ad avvenimenti misteriosi che hanno caratterizzato gli anni 70 e 80 della storia d’Italia e in particolare di Trapani.

La strategia della tensione e i misteri politici

Misteri politici. Una costellazione di eventi misteriosi, delitti politici, virulenza delle organizzazioni criminali insieme alla nascita di organizzazioni eversive e paramilitari, caratterizza il periodo che va dal 1970 al 1974 della storia della nostra Repubblica.
In questo quadro si sviluppa la cosiddetta “strategia della tensione“, favorita dalla crisi economica e dalla crescente instabilità politica della nazione.

Quegli anni si contraddistinguono per gli oscuri collegamenti tra la massoneria, la mafia e il complesso mondo dell’eversione di destra. E dietro tutti la Nato regge i fili della storia.
Infatti dal materiale in possesso degli inquisitori è emerso che la famigerata Loggia P2, attraverso il “gran Maestro” Licio Gelli e altri esponenti, si collegò più volte con gruppi ed organizzazioni eversive, incitandoli e favorendoli nei loro propositi criminosi per attuare un disegno politico proprio.

Avvenimenti di Trapani durante la strategia della tensione

Vediamo di addentrarci in uno di questi misteri politici. Cominciamo da un trapanese, il generale Vito Miceli. Deputato alla Camera per il Movimento Sociale Italiano per tre legislature, dal 1976 al 1987, nel 1980 fu il primo degli eletti nella lista del MSI al Consiglio comunale di Trapani, dove rimase fino al 1982.
Ma soprattutto è stato prima capo del SIOS (Servizio di controspionaggio) dell’Esercito e poi, dal 1970 al 1974, direttore del SID (Servizio Informazioni della Difesa).
Nel 1974 fu arrestato per cospirazione contro lo Stato, a seguito dell’inchiesta sulla Rosa dei Venti, un gruppo clandestino di cui facevano parte elementi dei servizi segreti coinvolti in attentati, stragi e delitti.

In gran parte senza apparente spiegazione, anche le indagini su questi eventi erano soggetti a depistaggi.
L’accusa per il generale Miceli era favoreggiamento nel tentato Golpe Borghese del dicembre 1970. La Corte d’Appello nel 1984 lo assolse con formula piena e l’anno seguente anche la Cassazione.
Miceli è stato associato anche a Gladio e alla loggia massonica P2. Infatti nel 1980 il suo nome compare nella lista della P2 di Gelli con il numero 491.

La Rosa dei Venti

Nell’ottobre del 1974 il giudice Giovanni Tamburino ordinò l’arresto del generale Vito Miceli, allora direttore del Sid, contestandone il ruolo primario in un’organizzazione di sicurezza supersegreta (una specie di Sid parallelo).

Si scoprì dopo che la Rosa dei Venti, istituita nell’ambito Nato con protocolli segreti, aveva lo scopo di garantire la fedeltà dell’Italia all’Alleanza Atlantica, ovvero di rendere impossibile ogni mutamento politico nel paese a sinistra.

La Rosa dei venti era una delle strutture autonome di Gladio, una sorta di filiale locale di un servizio segreto di intelligence NATO, di stampo neofascista.
La struttura, con collegamenti in diverse regioni d’Italia, si sarebbe servita dell’azione di vari gruppi armati per fomentare disordini, attentati e violenze. Si sarebbe prefissata anche di provocare un illegale mutamento della costituzione dello stato e della forma di governo attraverso l’intervento delle forze armate dello Stato.

Un’inchiesta incominciata dalla magistratura di La Spezia e poi proseguita nel 1973  dal magistrato Giovanni Tamburino, portò alla luce l’esistenza dell’organizzazione.
Tamburino ordinò gli arresti di numerosi personaggi, tra politici, imprenditori e ufficiali, quali finanziatori del gruppo terroristico, ma la Corte di Cassazione renderà vano il lavoro del magistrato trasferendo dell’inchiesta dalla città veneta a Roma.

Il Golpe Borghese, uno dei più grandi misteri politici

Julio Valerio Borghese, il “principe nero”, fondatore del Fronte Nazionale, movimento politico italiano di estrema destra, fu l’organizzatore del Golpe attuato nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970.

L’ex comandante della Decima Mas era riuscito ad organizzare attorno a sé reparti dell’esercito, della forestale e dei carabinieri, missini e militanti della destra extraparlamentare, mafiosi calabresi e siciliani, ed avere l’appoggio dei servizi segreti e della massoneria.

Il piano prevedeva l’occupazione del Ministero dell’Interno, del Ministero della Difesa, delle sedi Rai e dei mezzi di telecomunicazione (radio e telefoni) e la deportazione degli oppositori presenti nel Parlamento.

Era previsto anche il rapimento del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e l’assassinio del capo della polizia Angelo Vicari. Alcuni militari tuttavia avvisarono Borghese del piano di ordine pubblico scattato la stessa notte e così avrebbe dato il contrordine.

L’inchiesta sul Golpe Borghese

Alla fine del 1973 il generale Gianadelio Maletti del Sid incaricò il capitano Antonio Labruna di raccogliere materiale sul golpe del 1970. Dopo mesi di lavoro, Labruna predispose un dossier per consegnarlo al ministro della Difesa Giulio Andreotti.

Così gli ufficiali dei Servizi Maletti e  Labruna, in una riunione segreta del luglio 1974 insieme ad Andreotti,  presero delle decisioni in merito. Era assente il capo del SID Vito Miceli, scavalcato proprio perché implicato nel golpe del ‘70.

Il Ministro della difesa Giulio Andreotti

Gianadelio Maletti si rivolge direttamente al Ministro della Difesa Giulio Andreotti, rivelandogli che dalle sue indagini era emerso un colloquio tra Miceli e Borghese.

Andreotti, preoccupato,  consiglia di “sfrondare il malloppo” prima di passarlo alla magistratura. In particolare scompare tutto ciò che riguardava Gelli e la P2.
Sentito da Andreotti, il generale Miceli si difende con l’affermazione che si era recato da Borghese per prendere informazioni. Ad ogni modo il Ministro della Difesa destituisce Vito Miceli e una ventina tra generali e ammiragli.

Il processo Borghese

Il processo Borghese, costruito proprio a partire da quel Dossier del SID, si apre a Roma nel 1977. Inquietante e irrisolto l’interrogativo di chi impartì a Borghese l’ordine di cessare l’attività golpista. Nemmeno nella ricostruzione accusatoria il quesito trova una risposta sensata.
Il principe Borghese, riparato nella Spagna franchista, non rientrerà mai in Italia, poiché nel 1974 morì a Cadice in circostante mai veramente chiarite.
Vi sono fondati motivi per ritenere intrinsecamente finalizzata al depistaggio l’intera “inchiesta Maletti” sul golpe Borghese. Infatti scaturiva per lo più dalle dichiarazioni di un imputato, l’imprenditore Orlandini, dissimulando invece la conoscenza che il SID, autonomamente e ben prima dell’inchiesta,  aveva su tutta la questione.

Gli  insabbiamenti

Dai nastri del carabiniere Labruna scomparve pure il nome di colui che si sarebbe dovuto occupare del rapimento del Capo dello Stato Giuseppe Saragat.

Quel nome era il massone Licio Gelli, insieme ad altri affiliati alla Loggia P2. Ma dal Dossier del 1974, erano scomparsi anche altri particolari fondamentali. Ad esempio chi avrebbe dovuto assassinare il Capo della Polizia dell’epoca Angelo Vicari? Si scoprì poi che si trattava di uomini appartenenti alla Mafia siciliana. Dell’adesione della Mafia al progetto Borghese parlarono, oltre a Tommaso Buscetta, anche altri pentiti.

Le condanne

A Roma il 14 Luglio del 1978, i giudici della corte d’Assise che giudicavano i presunti golpisti di Valerio Borghese condannarono ben sessanta imputati. La corte d’Assise diede in seguito pene molto più miti. Infatti cadde l’accusa più grave, quella di insurrezione armata contro i poteri dello Stato.

Rimase in piedi solo la cospirazione politica. L’ex Capo del SID Vito Miceli venne assolto per insufficienza di prove.

Nel 1976 arrivò l’ordine di arresto anche per Gianadelio Maletti, il numero due del Sid. Quindi arrivò la condanna per aver depistato le indagini sulla strage di Piazza Fontana, diventata definitiva nel 1987. Maletti era già fuggito all’estero, a Johannesburg, in Sudafrica. In due interviste rilasciate all’estero confermò la presenza della Cia dietro la strategia della tensione degli anni ’60 e ’70.

Nel 1995, la procura di Roma incriminò Licio Gelli per cospirazione politica, insurrezione armata contro i poteri dello Stato, attentando all’incolumità e alla libertà personale del Presidente della Repubblica.

Per la manipolazione dei nastri, sono stati incriminati, il generale Maletti, il capitano Labruna e il colonnello Romagnoli. Il reato è di omissione di atto d’ufficio, con sottrazione di documenti relativi alla sicurezza dello Stato. Ma il procedimento contro di loro è stato archiviato, per prescrizione.

Indagini successive confermarono l’esistenza di contatti tra il generale Miceli, allora nella sua veste di capo del SIOS, e Borghese. Contatti da far risalire al 1969, epoca nella quale il generale entra nella Loggia P2. Tali eventi si accompagnano significativamente alla sua nomina al vertice dei Servizi, che lo stesso Gelli si vantò di aver favorito.

Le nuove rivelazioni

Nel 2004 saltano fuori dei documenti esplosivi. Cinque informative che l’ambasciata americana a Roma spedisce a Washington tra l’Agosto e il Settembre 1970. Oggetto di queste informative, fino ad allora segrete, è proprio il progetto di Borghese. Gli americani, dunque, sapevano del colpo di Stato.
Entra in scena un certo Otto Skorzeny, ex  ufficiale delle Waffen-SS, uomo artefice della liberazione di Benito Mussolini dalla reclusione sul Gran Sasso nel Settembre del 1943 e grande amico del principe Borghese.

Skorzeny faceva parte dell’organizzazione tedesca Gehlen che affiancava la Cia.

Adriano Monti, un medico-spia, lo contattò per sapere se poteva dare al principe Borghese la conferma, da parte di certi ambienti dell’intelligence americana, di una ipotetica approvazione statunitense verso questo tipo di iniziativa. La domanda giunse fino al Presidente Richard Nixon.

La risposta di Skorzeny fu positiva, ma la condizione era pesante: gli americani, per il loro appoggio, richiedevano la presenza di Giulio Andreotti come presidente del nuovo Governo militare.

La morte del generale Miceli, i misteri continuano

Il generale Miceli comunque non fu mai condannato. Avrebbe potuto raccontare la verità ma da bravo militare teneva i segreti per sé. Non si confidava con nessuno, era un vecchio soldato taciturno.

La nuora raccontò che il suocero scriveva e scriveva e aveva  tutta la casa piena di appunti, una probabile biografia di cui però non si seppe più nulla. Quella biografia avrebbe potuto svelarci molte cose della storia d’Italia. Anche della ventiquattrore che il generale si portava appresso si sono perse le tracce.

Perfino la sua morte, avvenuta nel 1990, rimase un mistero. Perché Miceli, grave cardiopatico, decise di sottoporsi ad un intervento chirurgico rischioso peraltro non necessario?  Si trattava non di tumore ma di prostata ingrossata. Il medico di fiducia aveva voluto il ricovero, scelto la clinica e rassicurato il paziente sul buon esito dell’intervento, e poi si era come volatilizzato. L’intervento chirurgico si era svolto inoltre con una tecnica invasiva dannosa per le condizioni di salute del paziente. Una scelta suicida ? O era stato costretto? O fu ucciso?

continua con Misteri politici di Trapani 2° parte

Fonte:

Wikipedia

Foto: Maria Virzì