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Grotta del Genovese: arte paleolitica e neolitica a Levanzo

Ci troviamo a Levanzo, nell’arcipelago delle Egadi, per osservare la particolarità della Grotta del Genovese.

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La grotta è diventata famosa per alcuni importanti ritrovamenti paleolitici. L’interno fu esplorato nel 1949 da Francesca Minnellono. La pittrice fiorentina, turista nella poco conosciuta Levanzo, viene a conoscenza da un pescatore di strane disegni in una grotta. Vi penetra alla luce di una candela e rimane ammutolita alla vista di figure dipinte in nero sulla roccia.

Tornata nella sua Firenze la notizia raggiunge il prof. Paolo Graziosi, la massima autorità italiana di arte rupestre, direttore dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria. Un anno dopo la stessa Minnellono, con il prof. Paolo Graziosi e Alda Vigliardi, scoprirono i graffiti del paleolitico (circa 10.000 a.C.), raffiguranti 29 animali e 3 figure umane.

I graffiti della Grotta del Genovese

Le incisioni rappresentano prevalentemente animali di grossa taglia, anche se non mancano quattro raffigurazioni umane. Gli animali, quasi tutti realizzati di profilo, sono resi in maniera essenziale ma naturalistica, talvolta in movimento. Meno realistiche risultano, invece, le tre figure umane raggruppate in posa dinamica, forse nell’atto di celebrare un rito. La centrale, con la testa a cuneo ha dimensioni maggiori rispetto alle altre e appare più rigida e austera.

graffiti Grotta del GenoveseAlla cronologia delle incisioni sembra ricollegarsi una figura umana dipinta in rosso. Essa sembra essere molto vicina stilisticamente alla figura dal profilo ondeggiante e con capo a cuneo.

L’esistenza dei graffiti si ricollega alle primitive manifestazioni artistiche del paleolitico superiore. Al tempo gli uomini-cacciatori che venivano negli antri naturali affidavano all’immagine e alla figurazione significati magici o propiziatori.

Nella grotta scelta come luogo sacro il cacciatore immagina la caccia e se la propizia raffigurando sulle pareti l’animale in posa dinamica. Come se richiamasse le fasi della caccia: agguato, avvistamento, balzo del cacciatore, inseguimento, cattura, uccisione dell’animale.

La rappresentazione all’interno della grotta assicurava la buona riuscita della caccia e anticipava l’effetto desiderato. Non vi erano dunque intenti estetici o puro gusto di rappresentazione, ma fini propiziatori.
Arte e rito, magia e azione si combinano. L’arte serve come metodo pratico per trasformare in certezza la speranza del cacciatore primitivo. Nel paleolitico, l’immagine riprodotta dell’animale serve all’uomo per acquistare potere sull’oggetto.

Il cambiamento dell’uomo: da passivo cacciatore ad attivo pastore

Ma quello che più salta agli occhi nella parete nord-est della grotta è il ciclo di pitture in nero raffiguranti figure antropomorfe, fortemente schematizzate, soggetti animali, idoli a forma di violino (idoletti “en violon”) di tipo egeo.
Cambiando stile di vita, nel neolitico, l’immagine acquista un valore simbolico. L’uomo ora vive in una comunità e in un luogo fisso, coltiva i campi, alleva gli animali. Le pratiche magiche vengono sostituite da riti e culti; spiriti benevoli e maligni regolano l’esistenza. L’uomo sa di avere un corpo mortale e un’anima immortale. Il cacciatore del paleolitico doveva essere un buon osservatore e avere sensi acuti per notare i particolari. Il pastore o il contadino deve, invece, adoperarsi per produrre i mezzi di sussistenza. La sua visione del mondo è statica. Egli non ha bisogno di osservare attentamente la realtà, basta indicarla per segni schematici e convenzionali.

Così le pitture di Levanzo, nella Grotta del Genovese, non danno immagini naturalistiche di animali. Esse raffigurano forme schematiche e simboliche, figure che poco o nulla hanno di umano. Tutte le pitture di colore nero sono state datate alla fase finale dell’epoca Neolitica, nel momento in cui le tecniche agricole e di allevamento erano ormai ben consolidate ed universalmente utilizzate, e i primi gruppi umani stavano per impadronirsi delle complesse conoscenze metallurgiche.
L’idolo en violon, presente nella grotta, testimonia una forma di religiosità comune a tutto il Mediterraneo. Rappresenta la Dea Mater in forme simili a quelle ritrovate nelle zone costeggiate dal suddetto mare. Questo mostra, dunque, evidenti riferimenti che ci suggeriscono una datazione tra il neo-eneolitico e la prima età del bronzo.

Fonti e foto:

https://www.egadivacanze.it/levanzo/grotta-del-genovese.html

https://www.grottadelgenovese.it/

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