Vento di Trapani: la città dei due mari

Museo delle Trame Mediterranee: un filo che unisce i popoli

Fondazione Orestiadi e Museo delle Trame Mediterranee

Prima di recarci al Museo delle Trame Mediterranee faremo un giro per Gibellina. Subito dopo la maestosa Stella del Consagra, giriamo a destra e saliamo per raggiungere le Case Di Stefano. Si tratta di una vecchia masseria, un tipico baglio a doppia corte che sorgeva in posizione dominante rispetto al feudo. Dall’esterno aveva un aspetto di luogo fortificato. In seguito l’amministrazione comunale di Gibellina lo acquistò e gli architetti Marcella Aprile, Collovà e La Rocca lo restaurarono ad arte.

Montagna di sale

Accanto alla masseria colpisce per l’originalità  “La Montagna di sale” di Mimmo Paladino, scenografia per “La sposa di Messina” presentata al Cretto di Burri per le Orestiadi del 1990.

Vicino si va per il Giardino degli odori, istituito due secoli addietro dall’antico proprietario Barone Di Stefano.  E’ un lembo di terra destinato alla coltivazione di arbusti e piante profumate. Il valore di tale giardino non è solo naturalistico ma anche culturale per l’ispirazione esoterica che ne guidò il tracciato e la scelta delle piante. Le mura che lo circondano sono definite da un fitto filare di palme, e all’interno ci sediamo nei sedili in pietra e ammiriamo la fontana.

Il cortile del baglio ospita annualmente leOrestiadi di Gibellina, rassegna internazionale di teatro, giunta alla sua XXXVIII edizione.

La parte esterna dell’edificio e il panorama sulla cittadina sono molto belli e ci piace curiosare qua e là, ma adesso è tempo di addentrarci all’interno del baglio.

Infatti le Case di Stefano sono la sede della Fondazione Orestiadi e del Museo delle Trame Mediterranee.

Perché museo delle trame mediterranee?

La Sicilia ha più volti, che sin dall’antichità si sono avvicendati, mescolandosi e intrecciandosi. La sua storia l’ha reso teatro di incontri tra popoli diversi, pur restando al centro del Mediterraneo. Il Museo delle trame Mediterranee ripropone la storia dell’isola grazie all’osservazione e al confronto di tutte le sue diverse tradizioni culturali.

Arte e artigianato sono entrambe cultura

Partiamo dalla premessa che, secondo il fondatore Ludovico Corrao, tutte le produzioni umane socialmente intese possono essere ricondotte ad un’attività culturale. Ogni espressione artistica ha una funzione sociale e strumentale, così come ogni risposta dell’uomo a un bisogno strumentale ha una forma simbolica. Fin dalla preistoria l’attività dell’uomo è stato il fare e il rappresentare. L’uomo infatti si è dotato di utensili per trasformare la natura a suo favore e anche del linguaggio per rappresentare il mondo. Secondo Corrao, quindi le arti e i mestieri sono entrambi momenti dell’attività umana finalizzata ad uno scopo ed entrambi hanno identico valore.

Il filo conduttore che unisce le culture antiche e moderne del Mediterraneo

L’idea su cui si struttura l’intero Museo delle Trame Mediterranee è originale e finora forse unica in Italia.

I manufatti presenti nel Museo delle trame mediterranee rivelano “una straordinaria capacità di superare i confini spazio-temporali.” E’ possibile cogliere un filo conduttore, dall’antichità alla contemporaneità. Una continuità nelle forme, nelle tecniche e nei simboli si può cogliere sia nelle stoviglie in terracotta che nelle manifatture tessili, nell’oreficeria e nelle opere d’arte.

Il Museo delle Trame Mediterranee non vuole fornire, come i consueti musei archeologici, un messaggio cronologico o tipologico. Non vuole distinguere tra arti d’Occidente o di Oriente, né tra arti maggiori o minori. Mette accanto manufatti che sono espressione della creatività umana, uniti dal filo conduttore costituito dai colori e dai segni dell’area euro-afro-asiatica mediterranea.

Un Museo che non cataloga e separa ma “unisce”

Più che separare e catalogare, il Museo delle Trame Mediterranee vuole “unire”, trovare la traccia culturale che unisce i popoli del Mediterraneo nel profondo, al di là delle apparenti diversità.

Ecco perché trame mediterranee. Come in una tessitura, ogni oggetto esposto testimonia una relazione con altri oggetti di svariate origini, in termini di tempo e di luogo di creazione, ma anche di utilità. Per fare un esempio costumi e gioielli sono oggetti che scansionano riti di passaggio come il matrimonio e la nascita dei figli. Essi però hanno anche legami con oggetti di arredo, le cassapanche per i corredi nuziali, o immagini devozionali protettive, come le Madonne.

Ogni pezzo della collezione ha una storia che narra quanto i popoli del Mediterraneo hanno in comune. Ogni oggetto è un motivo di confronto e di incontro tra culture diverse. E’ uno stimolo a cercare nella creatività e nel confronto un percorso di relazioni autenticamente umane.

Il ruolo della ceramica

Il termine “trame” ci rimanda alla memoria un percorso geografico apparentemente disomogeneo e disgregato che, ad un occhio attento, diventa armonia di un “creato” del quale mai avremmo percepito l’essenza.

Allo stesso modo, esaminando i materiali archeologici esposti nel Museo, all’apparenza disorganici ed eclettici, riusciamo a percepire un filo conduttore che li collega in modo armonico ed evidenzia la matrice mediterranea euro-afro-asiatica.

Nella sezione archeologica del Museo il ruolo di filo conduttore è affidato principalmente a un materiale povero, la ceramica. Il materiale più povero e più diffuso su cui l’uomo ha riversato nei millenni tutta la sua formidabile maestria tecnologica ed il suo estro artistico. La ceramica non è che un prodotto essenziale costituito dalla semplice argilla e dall’acqua fuse insieme e plasmate dal fuoco.

La quasi totalità della produzione di ceramica ha avuto come principale finalità quella di assolvere determinate funzioni specificatamente richieste dall’uomo. Tuttavia anche nelle produzioni semplicemente legate alla funzione da assolvere, il ceramista ha sempre cercato di inserire elementi caratterizzanti, propri di un gusto, di una tradizione o di una emozione.

Le collezioni del Museo delle trame mediterranee

Le collezioni del Museo nascono dalle donazioni di Ludovico Corrao e della sua famiglia, cui si aggiungono i lavori donati dagli artisti a conclusione della loro permanenza in atelier a Gibellina e donazioni di privati e pubblici.

Le arti decorative

Gli edifici centrali del Baglio Di Stefano accolgono la sezione delle arti decorative, una raccolta di abiti, tappeti, reperti, manufatti, ceramiche classiche e moderne

Una vasta collezione comprende tessuti di produzione popolare e aulica. Abiti e costumi, tele e drappi, arazzi e tappeti  provenienti prevalentemente dal Maghreb e dal Vicino Oriente e da altre aree del grande spazio mediterraneo.

Nelle rifiniture, nei ricami, nei motivi ornamentali che trasversalmente sembrano percorrere e connotare le diverse culture si possono leggere le funzioni simboliche. Sono funzioni rituali, magico-protettive, votive, devozionali o semplicemente sociali correlate all’uso dei tessuti e all’identità etnica di individui e comunità.

Il percorso espositivo delle arti decorative è diviso in due sezioni caratterizzate dal “Segno” e dalla “Forma” .

Sezione dei segni

Nella prima sezione vengono accostati degli oggetti di diversa provenienza e di differenti periodi. Questo accostamento aiuta a leggere l’evoluzione dei principali motivi decorativi che hanno caratterizzato lo sviluppo dell’arte e dell’artigianato mediterraneo.

Nel confronto tra oggetti di differente provenienza, periodo ed uso, si sono cercati i tratti comuni ed i percorsi storico artistici paralleli. Si evidenziano la permanenza dei motivi decorativi nel tempo, le loro evoluzioni e varianti nelle differenti culture e nei differenti periodi.

Motivi decorativi di origine greca e persiana, elementi ornamentali che si sono imposti nel periodo della presenza dei musulmani in Sicilia, alfabeti iconografici riconducibili a risonanze ottomane, moduli bizantini e geometrie di ispirazione mediorientale hanno attraversato i secoli e il mare per formare oggi un affascinante atlante della cultura figurativa mediterranea.

Ne sono esempi il raffronto degli arabeschi delle ceramiche di Caltagirone e Trapani del XVI secolo con i Kaftan marocchini del XIX secolo ed i costumi della corte albanese. Le geometrie intrecciate delle piastrelle maiolicate per esterni tunisine del XIX secolo con i mosaici delle cattedrali normanne siciliane del XII secolo.

Il ricamo

Un grande valore è dato al ricamo. Il ricamo qualificava il corredo, impreziosendo le superfici delle stoffe rigorosamente bianche. Ingentiliva perfino i teli per la panificazione semplici e grezzi e personalizzava i diversi capi di biancheria. I lavori d’ago e di filo eseguiti sui capi da indossare in occasione della nascita di un figlio erano veri gioielli di pazienza e di raffinatezza.

Nella storia dell’arte tessile la Sicilia è stata al centro di uno straordinario circuito di commercio mediterraneo di materie prime e prodotti finiti, di modelli decorativi e di tecniche esecutive. Ciò è documentato anche dalle origini illustri dell’antico tiraz musulmano di Palermo, da cui uscirono gli eleganti parati destinati all’incoronazione dei sovrani e al lusso delle corti. Allora come nel corso dei secoli successivi la bellezza dei manufatti e la ricchezza dei simboli ricamati sulle stoffe sono state ereditate e rielaborate dal lavoro di generazioni di donne.

Il “prisenti”

Al Museo si conservano una serie di drappi disegnati dagli artisti contemporanei ed eseguiti da ricamatrici locali. Questi manufatti tessili di forma rettangolare riproducono il lungo e stretto arazzo di seta che si conduceva per le strade in occasione della festa del S.S. Crocifisso. Aveva una evidente funzione devozionale.

Un uomo che cavalcava una mula vestita con drappi di seta portava un’asta a cui era attaccato il “presente” per una estremità. L’asta terminava con un manipolo di spighe secche. Dall’una e dall’altra parte procedevano altri individui su muli bardati di seta che sostenevano quel lungo tessuto a mezzo di nastri attaccati lungo l’orlo.

Poiché l’antico “prisente” era andato perduto sotto le macerie, Alighiero Boetti realizzò un nuovo “prisente” con la cooperativa di ricamatrici di Gibellina.

Sezione delle forme

La sezione delle “Forme” conserva tra l’altro ceramiche arabe, siciliane e spagnole del XIX secolo confrontate con brocche, idrie, vasi preistorici e medievali. Il confronto dichiara la comune origine e permanenza del modello. Sarebbe difficile elencare qui tutto il materiale esposto, perciò mi limiterò a piccoli accenni.

Le ceramiche primitive

Il nucleo più cospicuo della collezione archeologica è costituito dalle ceramiche dello stile di “Naro-Partanna” riferibili all’antica età del bronzo. Sono così denominate dalle due località dell’agrigentino e del trapanese dove sono stati rinvenuti numerosi corredi tombali con ceramiche peculiari. I motivi geometrici ricoprono la superficie del vaso, talvolta anche l’interno, con una scansione ritmica. Si crea una tessitura di riquadri riempiti di linee, raggiere, punti, losanghe, motivi a reticolo e a onda.

Particolarmente interessante la ciotola carenata decorata a linee parallele incise riferibile al genere Bicchiere campaniforme. Questo era diffuso nella Sicilia occidentale tra la metà del III e i primi secoli del II millennio a.C., in seguito a contatti in particolare con l’area iberica e la Sardegna.

“In qualità di Affiliato Amazon io ricevo un guadagno dagli acquisti idonei”

Ceramiche greche ed etrusche

La collezione comprende anche alcuni rimarchevoli vasi attici a figure nere e rosse. Tra i vasi attici a figure rosse il cratere a calice della seconda metà del V a.C. con scena apollinea sul lato A e scena dionisiaca sul lato B.

Tra i vasi plastici, molto peculiare è l’askos dalla caratteristica forma ad otre con due anforette applicate ai lati che trova un interessante confronto in un esemplare proveniente dalla necropoli di Cartagine.

In una vetrina sono esposti alcuni vasi di colore nero o grigio scuro, i buccheri. Si tratta di vasi etruschi le cui forme sono direttamente dipendenti da quelle greche, largamente diffusi in tutto il Mediterraneo.

Le Maioliche

La collezione di maioliche e di terrecotte è costituita da un centinaio di pezzi databili tra il XIV e il XX secolo, provenienti dalla Sicilia e da alcuni paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Le maioliche, distribuite lungo il percorso espositivo, sono accostate a stoffe, gioielli e legni dipinti di diversa provenienza, allo scopo di rintracciare e cogliere l’evoluzione dei principali motivi decorativi.

Assonanze di segni e forme

I confronti tra ceramiche preistoriche e classiche con materiali provenienti dall’Africa settentrionale e centrale e dal Vicino Oriente ci portano a riflettere su inaspettate assonanze di segni e di forme, non certo frutto di relazioni sempre documentabili storicamente. Sembrano piuttosto archetipi formali di un linguaggio comune a tutti gli uomini. Accanto ad essi i segni primari e puri di Carla Accardi, Arnaldo Pomodoro e Pietro Consagra sulla superficie delle ceramiche perpetuano in qualche modo lo stesso linguaggio profondo ed archetipico.

Il granaio e la sezione delle arti contemporanee

Nel granaio le opere in mostra costituiscono uno spazio museale importante nel settore della creatività contemporanea.

Le opere sono costituite in maggioranza da quelle donate alla Fondazione nel corso degli anni, frutto del rapporto che gli artisti hanno stabilito con Gibellina e con il suo progetto di ricostruzione.

Esposizione di arte contemporanea

Il percorso espositivo qui segue il filo cronologico a partire dai lavori del gruppo Forma 1, artisti che negli anni Cinquanta aprirono il dibattito in Italia tra realismo e astrattismo. Ci sono dipinti di Carla Accardi, Piero Dorazio, Giulio Turcato e sculture di Pietro Consagra. A questi lavori seguono quelli dei principali esponenti della Scuola di Piazza del Popolo, tra cui Mario Schifano, Franco Angeli, Tano Festa e Mambor. La raccolta include anche l’esperienza della ricerca visiva degli anni Settanta e Ottanta.

Il Granaio accoglie anche diversi lavori di artisti provenienti dall’area mediterranea e da alcuni paesi del Nord Africa. Ma anche opere di artisti orientali come Chan Kuo Kuang o informali come Renata Boero.

Il corpo centrale del granaio accoglie il Tappeto volante, ideata dal Gruppo Stalker. L’installazione in corda e rame riproduce le muqarnas del soffitto della Cappella Palatina di Palermo. Fu realizzata nel 2000 dal centro sociale curdo Ararat, in occasione della  mostra itinerante “Islam in Sicilia”. Messaggera di fratellanza, l’opera gira tra tutte le capitali del mondo arabo.

Un nucleo specifico è composto dalle scenografie degli spettacoli delle Orestiadi, tra cui spiccano le macchine spettacolari di Arnaldo Pomodoro e l’installazione Gibella del martirio di Emilio Isgrò.

L’arte totale

Un accenno merita il concetto di arte totale. Pietro Consagra, a Gibellina, sperimentava la sua “città frontale”, con gli edifici del “Meeting”, del teatro e la Stella. Ma allo stesso tempo il suo concetto di “arte totale” lo portò a progettare cose diverse come il carro di san Rocco. Progettò perfino le luminarie, i modelli per i ricami, le ceramiche, gli elementi di seduta, per arrivare al disegno delle maniglie del Meeting e perfino dei gioielli.

Nella stessa direzione operarono Arnaldo Pomodoro, Enzo Cucchi, Mimmo Paladino, con le loro scene spettacolari per le Orestiadi.  E Carla Accardi realizzò pannelli in ceramica per la piazza del Municipio.

La ricerca del filo

Il Museo delle Trame di Gibellina è un originale modello espositivo, in cui si riconosce la lungimirante intuizione elaborata dal suo fondatore, Ludovico Corrao. Un ringraziamento va a lui che ha dedicato un’intera vita a “non perdere il filo” sospeso nelle profondità di quel mare dove è nata la nostra odierna civiltà. Un altro ringraziamento andrà a tutti coloro che comprendendone il valore aiuteranno la fondazione con i finanziamenti, affinché le cose belle in Sicilia non siano solo un fugace passaggio ma rimangano come patrimonio per tutti.

source fondazione Orestiadi

Gibellina e il MUSEO delle TRAME MEDITERRANEE – storia e catalogo ragionato a cura di
Orietta Sorgi, Fabio Militello

Foto: Maria Virzì